Attraverso le molteplici
coordinate che introducono nel vasto universo della storia dell’arte
contemporanea, temi e problemi connessi alla funzione, alla finalità e
al messaggio comunicativo estetico, determinano un orizzonte assai
complesso e forse persino contraddittorio. Appare evidente che due vie, due
traiettorie solcano oggi il territorio delle diverse espressioni
dell’arte. La prima si pone come condizione
di confronto con la consapevolezza di possedere un’ origine culturale
e un’ appartenenza al mondo della comunicazione, cammino di chi opera
nel tessuto dell’ arte nel dialogo all’ interno del nucleo di un
concetto al quale la forma visibile fa da concreto supporto. Si potrebbe
dire l’ arte che cresce assieme all’ esigenza di una cultura che
muta, avendo fede nel progresso che fa e disfa, crea o distrugge mentre
crea, sperimentando forme modi e maniere. Sul versante parallelo si pone
l’apparentemente meno problematico territorio dell’ espressività,
che si sposa alla materia, colore e forma, linea che si identifica con
un disegno sorto dalla percezione immediata dell’ esperienza diretta,
o in un mondo che al sogno, ovvero all’ origine, nel mito di un’
infanzia della vita affida l’ accordo nel quale cultura e natura si
concretano nella più libera armonia. Contrapposizione di artificio e
natura, potremmo pensare. Ma le strade si incrociano
quando consideriamo che l’ esperienza del messaggio estetico delle
Avanguardie si è concretata in mille messaggi subliminali o concreti,
citati, usati, sfruttati sino all’ inverosimile nel tentativo di
attualizzare il richiamo verso un’ Apocalisse dell’ arte in cui
nessuno più crede. Consapevolezza storicizzata
nella parlata dell’ arte, e semplice cultura figurativa. L’ Apocalisse dell’ arte
sarebbe l’ Apocalisse del visibile. Pura metafora tesa al raggiungimento di una misura estetica irraggiungibile. Ritrovarsi artisti e credere
nella sostanza della propria espressività mentre il mondo cambia ad una
velocità inafferrabile, è atto di pensiero che si offre come forma,
dialogo con lo specchio, riflesso del mutevole. Ed è nel mondo femminile
scontornato di un rilievo che costruisce nel colore forte e contrastato,
che Carla Nico disegna l’ immagine lontana, spesso aspra e smaltata
dei suoi intarsi ed emblemi. Femminili le Muse, le Virtù, la
Sapienza, la Morte, femminili nell’ arte le comparse che rappresentano
concetti, simboli antichi legati alla visione dell’ idea che nasconde
l’archetipo. Simbolo di se stessa, la donna racconta la vita, le passioni, attraverso immagini che la accostano alle istanze segrete dei segni.
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Ed è attraverso le immagini
“decorative” composte nell’ ordito spaziale costruito dall’
artista manipolando il colore sino ad estrarne i contrasti necessari,
che si rivela il gusto forte che si impone allo sguardo, mentre le
figure solenni e imbevute di malinconia sfuggono alla percezione
immediata. Decorazione come slancio vitale, energia geometrica
e floreale, concepita come spazio che affiora nel labirinto delle
iridescenze. Carla Nico lavora a passo di danza, immaginando le cadenze
musicali che fanno eco alla vistategli intarsi di stoffe e di parati
esotici, tende e cuscini di ascendenza matissiana. Oppure sfiorando la
sensualità Liberty, composta di sfavillii di forme astratte che
prendono vita dal colore ritmato quasi a suggerire una vita delle forme
appresa dalla madre natura, compone ritratti di donne sontuose inscritte
nel loro traliccio vitale di sogno e passione. E’ u sogno che ci conduce
verso la Madre mediterranea, presenza di calore e di vita, Materia
generante e confusa, simbolo che racchiude misteri di nascita e
crescita. Questo aspetto della pittura ci
riconduce ai valori emblematici di un’ estetica che, cercando la cifra
segreta dell’ arte, si inoltra nel mistero nascosto delle apparenze;
come cercare nei fiori l’ essenza dei colori o dei profumi, calandosi
nel segreto laboratorio della vita, immaginando di essere dotati di
facoltà speciali, messaggeri del sogno: ninfe, gnomi, angeli, fate. Così il calore della Primavera
ritorna col mito di Proserpina, come il fragore del mare alla maestà di
Poseidone. Esigenza di una Rinascita nel senso racchiuso delle cose,
quello che si apprende dall’ interpretazione dei simboli al di là
dell’ immediata apparenza di semplicità. E’ qui che l’ idea poetica
di Carla Nico avvolge la pittura di una forza espressiva che rimescola
la forma, caricandola di un valore emozionale vibrante tornando al senso
dell’ energia nascosta nella scorza della natura, arabeschi che
generano colori compatti e trasparenze grafiche, contrasto che rivela
una quiete apparente nelle donne effigiate come carte da gioco, valori
nella memoria, passaggi di pensieri rischiarati dalla luce che corre
attraverso il segno fluido che guida lo sguardo. Non c’ è rottura né salto
con la tradizione dell’ arte: dalla prosperità matriarcale esaltata
dall’ esuberante fisicità femminile, alle pose frontonali di
derivazione classicista, al costrutto espressionista seducente e
dissonante, si giunge allo sguardo velato di nostalgia per una purezza
custodita nel grembo della natura. Con la grazia di chi raccoglie
conchiglie per ascoltare la voce del mare sognando terre lontane e
viaggi ai confini del mondo, l’ artista si diletta nel gioco dell’
evidenziare per nascondere, come in un sogno, la parte attiva della
vita: quella realtà, appunto, che impedisce di sognare. E il gioco dell’ arte
dimentica spesso le regole dell’ esistenza quotidiana. Nelle lontananze di un colore
lunare, l’ azzurro infinito contrasta la forza solare e panica del
giallo dorato, mentre il dominio dei rossi si impadronisce del corpo
avvolgendolo di solidità, mentre il pensiero si abbandona allo sguardo
e ai sensi incantati. Ma un’ opera si impone ai
nostri occhi secondo la forza di concentrazione che essa possiede,
quando l’ energia dell’ artista giunge al contatto con il nostro
confine e il senso si libera da una traiettoria definita. E’ l’ anelito dell’
infinito, che si nasconde nel colore di una stoffa disegnata con i fiori
sacri di un’ antica cultura, studiata con un’ attenzione che a volte
torna all’ origine delle forme primordiali e ai dettagli ancestrali,
tracce di una memoria perduta
e patrimonio della psiche collettiva. Un vaso di meraviglie dell’
ignoto, fardello simbolico dei codici elementari, nel senso del legame
di timore alle forze indomabili della natura, recipiente di vita che si
riproduce nella circolarità eterna del tempo,materia dell’ essere
colorata di essenze e di linfe. Giugno 2002
Cesare
Terracina
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