A Piedi Nudi

Il doppio Destino di Carla Nico

Sprigionano queste pagine una forza di attrazione difficilmente esprimibile.
Un fascino ambiguo che cattura. Quanti volti ha un’anima? Dietro quante maschere si nasconde un volto? Quanti strati di pelle e di trucco impediscono di sentire il fluire del sangue, il fermento del ventre, lo stridere dei nervi?

Aleggia in queste pagine una presenza che si ponea controllo e a difesa, e che agisce come freno che impedisca abbandoni.

 Si mimetizza allora - per sfuggire allo sguardo critico interno - l’indole cedevole al calor bianco della massima tensione. Che si fa oro fuso, miele che cola. Urlo e lamento, pianto e canto.
Non doma e non domina, la presenza  amorfa; non cede e non retrocede chi essa vorrebbe interdire. Forse soltanto per mettere alla prova “Lo scalpitante spirito/ che smania per volare”.
Solo A piedi nudi si può saggiare la conturbante fusione cosmica e terrestre che permea questo percorso, attraverso il quale si può ritrovare il suono del primo vagito, la formulazione del primo sapere; il desiderio di essere cosa in ogni cosa, coscienza e perdita di coscienza nell’annientamento di ogni supponenza.

Ammutolirsi per dire, dire per tacere. Travalicare il limite per saggiare la propria finitezza. Confrontarsi nella propria imperfezione con il Perfetto: maestosa umiltà di uno stelo che chieda al sole linfa.

Lento arrancare paziente verso sommità che con un balzo raggiunge e conquista  lo spirito felino sfiorando appena la terra, senza mai potersi far terra. La terra che è dimora dell’albero con le sue mille braccia tese al cielo: “Madre Nera,/ pietosa Fenice”.

Nutrire per aver nutrimento, legarsi alle Leggi per farsi liberi.
Dilemma che non vuole essere sciolto, ma dilatarsi piuttosto all’invadenza del dubbio prolifico. Che sfronda e rinnova per colture sempre più rigogliose, necessarie e stremanti: “Piccola scia d’argento di lumaca/ riga di luce i muri di chi amo./ Mi vado seppellendo piano piano/ … più vivo/ più il diario si disperde/ in un gioco d’amore colorato…”.

Fiori e pomi a ogni stagione dell’anima.

Triste “cacciata” sarebbe non uscire da sé, non poter infrangere il diaframma che isola e rende sterili.  Vivere  - come in Minotauro“Con la rabbia di un dio/ condannato all’esilio/ nel proprio universo”.

Una percezione quella di Carla Nico che è vibrazione arcaica di onda sotterranea, ritmo ritrovato dell’origine che da sempre orienta il danzare del mondo, rituale che si ripete eterno di accostamento e allontanamento al sublime.

Universo parallelo dove Parola e Immagine in continua sfida si allacciano e disciolgono, separati e ri-uniti dall’Io profondo della Nico, che volteggiando lieve e incisiva fra pittura e scrittura riempie la tela di un quadro unico di struggente poesia. Orante e oracolante. Pregna de Il mare dentro: “L’atomo/ di saggezza primitiva, /il fiato del più antico sé divino,/ se interrogato parla e dice il vero. /Ritorna blu quel mare che era nero/ e fresco come sguardo di bambino”.

Immagini a evocare ciò che non si presta a esser pronunciato, la scrittura a disegnare turbamenti indicibili.

A piedi nudi, aggrovigliata a radici e stelle, non si dibatte Carla Nico per liberarsi, ma vive il suo doppio Destino di svelatrice d’inganni e rivelatrice di segni.

Artista di grande temperamento esprime la sua straordinaria potenza attraverso figure di donne virili e materne, enigmatiche e chiare, opulente e spettrali. Portatrici del Sempre e del Mai: Mani di rami.

Nell’universo della Nico convivono archetipi e forme a venire, il conosciuto e il mai nominato, il mito e il sogno nascente. Universo degli Opposti ricondotto dalla purezza dell’Arte all’armonia originaria.

  Maria Lanciotti